giovedì 2 febbraio 2012

Il senso di Monti per le parole.

Prima Michel Martone, poi direttamente Mario Monti, la tentazione di dire quello che passa per la mente senza alcun filtro si trasforma in realtà. E dire che nel post berlusconi, che così male ci aveva abituati, non ce l'aspettavamo. Le parole, diceva Moretti in "Palombella Rossa", sono importanti: se parli male, pensi male e vivi male.

Mettendo in atto un esercizio di comprensione che mi costa la fatica dell'indulgenza, provo a tradurre il meta-pensiero dei rappresentanti dell'attuale governo tecnico/politico. Nel caso del giovane rampollo (Martone), suppongo ci fosse l'idea di combattere un abbandono e un ritardo negli studi che da sempre - o almeno, da che ne ho memoria - affligge il nostro sistema universitario, cosa che non fa che aumentare la SFORTUNATA CONDIZIONE di una popolazione giovanile già afflitta da molti mali (scarsità di lavoro e conseguente impossibilità per i bamboccioni, sfigati e annoiati che popolano il nostro paese, di lasciare la casa paterna per pagarsi un affitto - a proposito, e una politica per calmierare gli affitti, in Italia, da quando non si vede? - e di farsi una famiglia, di comprare libri, andare al cinema o al teatro o a un museo, ecc).
Nel caso del più vecchio ma non sempre più saggio Monti, c'è l'idea di una società in cui il lavoro cambia aspetto, in cui bisogna prepararsi a cambiarlo spesso, ad essere flessibili. E' cosa vecchia. Se non erro, era già scenario presente nel Libro Bianco europeo a cura di Jacques Delors Crescita, competitività, occupazione - Le sfide e le vie da percorrere per entrare nel XXI secolo, del lontano 1993. E già da allora si avevano ben presenti le sfide che il cambiamento poneva: governare questa flessibilità che sempre più si impone, distinguere come dice il ministro Fornero tra flessibilità "buona" e "cattiva", non trasformare la flessibilità in incertezza nella vita delle persone e in possibilità di sfruttamento del lavoro. Ma l'Italia, si sa, arriva sempre tardi nei dibattiti, rispetto a una realtà che è più veloce delle parole. Per anni, nel nord benestante d'Italia, cambiare lavoro, essere "flessibili" era non solo desiderato ma addirittura un plus di cui farsi vanto. Nel sud no, invece, ma non per mancata volontà o pigrizia, come sostiene un pernsiero verde ma non ecologista: al sud, il lavoro è sempre stato chimera da inseguire emigrando.

Però... però nel frattempo, da quel lontano 1993, ci separano due crisi economiche fortissime, una delle quali ancora in atto, che stanno trasformando la stessa ottica con cui guardare la crescita e il benessere, che mettono in discussione questa continua corsa ai consumi che sta consumando risorse e possibilità e sta chiudendo gli orizzonti a tutti e ai più giovani in particolare. Da quel 1993 ci separa anche un ventennio nefasto che ci ha lasciato tutti i nervi scoperti. Siamo, noi Italiani, come un convalescente, dopo lunghissima malattia non ancora sconfitta; come Nora di Ibsen, che ha perso la fiducia nel matrimonio con un uomo che gli appare sconosciuto, siamo noi verso la politica, verso quelle stesse persone che dovrebbero essere nostri rappresentanti ma che, grazie anche a un sistema elettorale perverso ma comodo, da noi si pongono a distanze siderali, stipendi compresi.

Ecco, solo questo ho da dire: che con noi Italiani non ci si può più permettere di non pesare le parole; bisogna badare al tono, al contenuto, alle sfumature, a tutte le possibili letture e, all'occorrenza, SAPER TACERE. Aver cura di un'innamorato deluso e convalescente. Oggi, più che mai, le parole sono importanti, il COME si dice coincide con QUEL che si dice.

Bisognerebbe che i nostri rappresentanti non lo dimenticassero. Mai più.