sabato 17 novembre 2012

Braciere ardente.

E' stata una scoperta, Marai. Come tutte le grandi scoperte, del tutto casuale: il regalo di un amico. E, davvero, regalo fu. Un libro bellissimo, una scrittura chiara e profonda, una trama sorprendente. Vorrei cercare di parlarne cucendole entrambe, trama e scrittura. Praticamente si tratta, a parte il delineare - necessario - le storie dei protagonisti per comprenderli, di un monologo, in cui si esplicita il pensiero, filosofico e sulla vita, del protagonista, alias dello scrittore. Ma oltre a splendide e condivisibili riflessioni, lo scritto resta, e fortemente, un romanzo, la cui trama ci avvince, tanto che non vediamo l'ora che si arrivi a un chiarimento, alla fine. Tanto che, alla fine, il logorroico insistere del vecchio generale ci irrita persino, e arriviamo a pensare "ma taci! lascia la parola anche agli altri! facci capire!" e nel frattempo la nostra mente tesse tutta una serie di trame parallele, oltre a quella che sembra la più probabile e banale e, dunque, impossibile. E alla fine... alla fine, l'unica che rimane inascoltata del tutto, l'unica veramente tradita, sarà la donna amata, invisibile presenza intorno alla quale tutto il romanzo scorre. Hai voglia a pensare a chiarimenti possibili che ne riabilitino, quantomeno, la memoria, lasciando il generale a morire tra sensi di colpa. L'unica davvero tradita, sì, sarà lei. E il lettore. Leggere per credere, e ne vale davvero la pena.

domenica 14 ottobre 2012

L'insostenibile leggerezza del morire.

Mai la morte è stata raccontata, direi in presa diretta, con tanta ironia, leggerezza e profondità. Un'autrice che è una vera scoperta, come la città da cui proviene, Venezia, e come la città che l'ha adottata, Roma. Purtroppo per noi, scoperta postuma. Una citazione su tutte le innumerevoli, possibili: "... il malinconico presagio di una città destinata a diventare da Dominante a Disneyland, l’unghiata innocua di un Leone che si è tagliato le unghie" E adesso passerò al suo secondo libro: scendo, buon proseguimento.

mercoledì 19 settembre 2012

Coazione a ripetere

Semino parole che non cogli

Semino amore che non raccogli

Unica difesa, l'assenza

Unico rimpianto, la presenza

Di me, di te, dell'amore.

venerdì 24 agosto 2012

Salice dolce.

Tornerai all'albero

a cui tendevi la pargoletta mano

sei debole, non hai visto

i rami del salice

che ti aspettavano, flessibili, a riva

giovedì 23 agosto 2012

Senza titolo.

Goccia dopo goccia ti sollevi, leggera

poi precipiti giù, via, viva

come la pioggia nel suo ciclo eterno

che non sai interrompere. Mai.

mercoledì 22 agosto 2012

E bravo Petros...

Un altro social-poliziesco, alla maniera della trilogia di Izzo ma con in più l'estrema piacevolezza di un'ironia stringente e fatalisticamente cinica. Lettura leggera, da "sotto l'ombrellone", ma con grande intelligenza.
Insomma, a fine lettura non avrete l'impressione di avere sprecato il vostro tempo. Solo tre aggettivi: bello, bello, bello.
E bravo, Petros!

venerdì 10 agosto 2012

Noi, tutti

Piango per me, per noi,

tutti, piccoli, feriti,

inconsapevolmente torturati

da torturatori inconsapevoli

noi, consapevoli, oggi,

di ciò che saremmo stati

e che mai più saremo

martedì 7 agosto 2012

Cinquanta volte e cento (non è una poesia)

Arriverò ai cinquanta

lenta, inesorabile, riluttante

cinquanta volte piagata

cinquanta volte piegata

cinquanta volte offesa

cinquanta volte affranta

cinquanta volte stanca

di violenta stanchezza.


Ma sarò stata, pure

cento volte integra

cento volte altera

cento volte accarezzata

cento volte indomabile

cento volte amata

di gratuito amore.


Nella mia partita doppia

ancora sopravvivo


lunedì 16 luglio 2012

Uno stupore che non smette mai.

Lo stupore che non smette mai, è quello che mi prende sempre quando vedo leggo ascolto di persecuzioni, violenze, genocidi ed eccidi nazisti e fascisti, a prescindere dalle latitudini in cui si sono consumati, Europa, America Latina, Israele (e me ne perdonino gli ebrei sopravvissuti, ma così è)... Così è stato anche per questo libro di Shlomo Venezia: tratto dal testo, ampliato, di un'intervista rilasciata a Béatrice Prasquier, la prosa è semplice e scarna e ci rimanda alla banalità e alla normalità del male di cui parlava la Arendt. Come possa diventare "normale" vivere (o meglio, come occorra rendersi forzatamente distanti dal fermarsi a riflettere su ciò che si fa) accompagnando a morire, spostando cadaveri e bruciandoli, e come questa "normalità" ci tolga PER SEMPRE dalla normalità dell'essere, del vivere, felici: Shlomo lo ribadisce all'inizio e alla fine del libro: "Non ho più avuto una vita normale. Non ho mai potuto dire che tutto andasse bene e andare, come gli altri a ballare e a divertirmi in allegria... Tutto mi riporta al campo. Qualunque cosa faccia, qualunque cosa veda, il mio spirito torna sempre nello stesso posto. E' come se il "lavoro" che ho dovuto fare laggiù non sia mai uscito dalla mia testa... Non si esce mai, per davvero, dal Crematorio". Altrettanto illuminanti le postfazioni storiche dei curatori Marcello Pezzetti e Umberto Gentiloni Silveri, sui campi di sterminio e sulla campagna di Grecia e la successiva, conseguente deportazione.

giovedì 12 luglio 2012

Sorprendente...

Bel libro, come sempre; ma, soprattutto, questa volta anche sorprendente, più del solito. Una prima parte esilarante, si ride con spensieratezza del pensiero di un adolescente che è stato anche il nostro. Nella parte di mezzo - il quasi due - si mettono le radici del cambiamento, ma che fosse così radicale no, non ce lo aspettavamo. E così nel due lo spiazzamento è completo e solidale col protagonista e con i suoi - anch'essi sorprendenti - amici, costretti a crescere troppo, troppo in fretta... Sempre, sullo sfondo, un Iran che io ho imparato a conoscere nel passato ma che è bello e giusto ri-scoprire per capire il qui e ora. Ancora una volta: grazie Hamid.

domenica 8 luglio 2012

De Luca non fa mai torto a se stesso



La sublime scrittura di De Luca, come sempre.
I suoi testi si riducono in lunghezza, ma mai in spessore e profondità, anzi: direi che il rapporto è inversamente proporzionale.
Una prosa che, in potenza evocativa, si fa sempre più vicina alla poesia.

sabato 23 giugno 2012

Scusate la levità.

Sì, questo libro è lieve, ma non leggero. Riderete, entrerete nel flusso di Coscienza, ne vivrete la vita e vi commuoverete. E ne uscirete lievi e con levità: mica cosa da poco, in mezzo a tanta grevitudine.
Mi accorgo che non ho scritto della scrittura, meravigliosa e femminile (meravigliosamente femminile?); nel caso ciò li fermasse, aggiungo che farebbe un gran bene (anche) agli uomini.
p.s. rubo all'autrice, maestra dei calembour, citandola: è "la forza "di levità" contro la forza di grevità"
http://www.edizioninottetempo.it/catalogo/scusate-la-polvere/

La lunga attesa dell'angelo: il figlio del tintore come non l'avete mai letto.


Ora, ci penso da un po' a cosa scrivere di questo libro, perché non è facile. Da questo romanzo di un po' più di 400 pagine (http://www.lafeltrinelli.it/products/9788817038836/La_lunga_attesa_dell%27angelo/Mazzucco_Melania_G.html), ne è nato un altro pure di 400 (http://www.lafeltrinelli.it/products/9788817030380/Jacomo_Tintoretto_e_i_suoi_figli_Biografia_di_una_famiglia_veneziana/Mazzucco_Melania_G.html) e gli aggettivi potrebbero sprecarsi: una scrittura potente, avvincente, immaginifica ma fortemente realistica. Così forse qualche critico, ma senza troppa fantasia. La verità è che entrerete nel cuore e nella vita di Jacopo Tintoretto e non dubiterete mai, neppure per una frazione infinitesima di tempo, che il fluire del suo pensiero sia realtà e non una finzione letteraria.

giovedì 2 febbraio 2012

Il senso di Monti per le parole.

Prima Michel Martone, poi direttamente Mario Monti, la tentazione di dire quello che passa per la mente senza alcun filtro si trasforma in realtà. E dire che nel post berlusconi, che così male ci aveva abituati, non ce l'aspettavamo. Le parole, diceva Moretti in "Palombella Rossa", sono importanti: se parli male, pensi male e vivi male.

Mettendo in atto un esercizio di comprensione che mi costa la fatica dell'indulgenza, provo a tradurre il meta-pensiero dei rappresentanti dell'attuale governo tecnico/politico. Nel caso del giovane rampollo (Martone), suppongo ci fosse l'idea di combattere un abbandono e un ritardo negli studi che da sempre - o almeno, da che ne ho memoria - affligge il nostro sistema universitario, cosa che non fa che aumentare la SFORTUNATA CONDIZIONE di una popolazione giovanile già afflitta da molti mali (scarsità di lavoro e conseguente impossibilità per i bamboccioni, sfigati e annoiati che popolano il nostro paese, di lasciare la casa paterna per pagarsi un affitto - a proposito, e una politica per calmierare gli affitti, in Italia, da quando non si vede? - e di farsi una famiglia, di comprare libri, andare al cinema o al teatro o a un museo, ecc).
Nel caso del più vecchio ma non sempre più saggio Monti, c'è l'idea di una società in cui il lavoro cambia aspetto, in cui bisogna prepararsi a cambiarlo spesso, ad essere flessibili. E' cosa vecchia. Se non erro, era già scenario presente nel Libro Bianco europeo a cura di Jacques Delors Crescita, competitività, occupazione - Le sfide e le vie da percorrere per entrare nel XXI secolo, del lontano 1993. E già da allora si avevano ben presenti le sfide che il cambiamento poneva: governare questa flessibilità che sempre più si impone, distinguere come dice il ministro Fornero tra flessibilità "buona" e "cattiva", non trasformare la flessibilità in incertezza nella vita delle persone e in possibilità di sfruttamento del lavoro. Ma l'Italia, si sa, arriva sempre tardi nei dibattiti, rispetto a una realtà che è più veloce delle parole. Per anni, nel nord benestante d'Italia, cambiare lavoro, essere "flessibili" era non solo desiderato ma addirittura un plus di cui farsi vanto. Nel sud no, invece, ma non per mancata volontà o pigrizia, come sostiene un pernsiero verde ma non ecologista: al sud, il lavoro è sempre stato chimera da inseguire emigrando.

Però... però nel frattempo, da quel lontano 1993, ci separano due crisi economiche fortissime, una delle quali ancora in atto, che stanno trasformando la stessa ottica con cui guardare la crescita e il benessere, che mettono in discussione questa continua corsa ai consumi che sta consumando risorse e possibilità e sta chiudendo gli orizzonti a tutti e ai più giovani in particolare. Da quel 1993 ci separa anche un ventennio nefasto che ci ha lasciato tutti i nervi scoperti. Siamo, noi Italiani, come un convalescente, dopo lunghissima malattia non ancora sconfitta; come Nora di Ibsen, che ha perso la fiducia nel matrimonio con un uomo che gli appare sconosciuto, siamo noi verso la politica, verso quelle stesse persone che dovrebbero essere nostri rappresentanti ma che, grazie anche a un sistema elettorale perverso ma comodo, da noi si pongono a distanze siderali, stipendi compresi.

Ecco, solo questo ho da dire: che con noi Italiani non ci si può più permettere di non pesare le parole; bisogna badare al tono, al contenuto, alle sfumature, a tutte le possibili letture e, all'occorrenza, SAPER TACERE. Aver cura di un'innamorato deluso e convalescente. Oggi, più che mai, le parole sono importanti, il COME si dice coincide con QUEL che si dice.

Bisognerebbe che i nostri rappresentanti non lo dimenticassero. Mai più.



venerdì 6 gennaio 2012

Rampini, Slow Economy: tutto quello che potreste aspettarvi e che non arriva...

Il libro si intitola Slow Economy, sottotitolo Rinascere con saggezza, a cui si aggiunge la frase presente in copertina "Tutto quello che noi occidentali possiamo imparare dall'Oriente", ma se aderite a quanto proclamato non troverete, nel libro, ciò che cercate. Per quanto riguarda l'Oriente, infatti, a parte un breve cenno all'inizio all'attenzione dei singoli cinesi al consumo responsabile, Rampini mette proprio in evidenza contrasti, conflitti e controsensi in Cina, India ma anche nell'Occidente. È proprio questo lo strano del libro, critico nei riguardi dei consumi e dell'inquinamento nella corsa alla potenza economica di quello che aveva in precendenza definito come l'impero di Cindia (Cina+India).
In realtà, è come leggere una serie di riflessioni, apparentemente slegate, su Cina, India, Stati Uniti ed Europa da parte di chi ha vissuto queste realtà da vicino. Ricaverete informazioni interessanti sul passato e sul fututo della Cina, dei suoi rapporti con l'Occidente europeo, sulla Cambogia, sul Vietnam, sull'India, ricavandone anche un discreto numero di indicazioni bibliografiche interessanti e luce su figure uncihe a noi ignote, come Murlidhar Devidas Amte (http://www.giornaledelticino.ch/5940/ramtha-la-luce-murlidhar-devidas-amte-il-santo-degli-%E2%80%9Cintoccabili%E2%80%9D) e il dottor Beat Richner, sorta di Gino Strada sveìizzero per la Cambogia (http://www.beatocello.com/). Con la conclusione che col prevalere economico dell'Oriente asiatico bisogna farci i conti, imparare a conviverci e farcene una ragione, dato che così è e così e giusto che sia, visto anche il passato glorioso dei paesi di cui si parla, accettare questi corsi e ricorsi storici. Di sicuro, si evince il suggerimento di una possibile alleanza Oriente-Occidente per uno sviluppo che sia veramente sostenibile, magari attraverso joint venture per la ricerca sulle fonti energetiche alternative, in cui la vecchia Europa è avanti ma non ha abbastanza risorse economiche, in opposizione agli Stati Uniti, ancora "spreconi" e consumisti all'inverosimile.
Insomma, il pregio è di essere scorrevolissimo e denso, per quanto disorganico all'apparenza.
Da leggere, tanto lo si "fuma" in un "fiat".